Oggi si sarebbe festeggiato Santiago se non ci fosse stata la tragedia del treno.
Mi sono addormentata triste e il risveglio è stato altrettanto triste vedendo le immagini alla tv.
I sorrisi tra i pellegrini non sono così allegri oggi, sono di circostanza. La gente del posto è altrettanto affranta.
Ma il sole sorge lo stesso su El Ganso. Felice di lasciare questo posto che non mi ha per niente entusiasmato, mi accingo a salire di quota. Da 1020m. passerò a 1500 e dopo essermi accorta di aver lasciato il pile al Parador, non è così esaltante la notizia.
Il percorso è scosceso ed abbastanza pendente, ma io preferisco le salite! Dopo aver fatto un'abbondante colazione a Rabanal, già citato come località di tappa dal Codex Calistinus, era un avamposto dei Templari di Ponferrada che proteggevano i pellegrini sul Cammino. La leggenda narra che di qui passò anche Carlo Magno.
Questa croce annuncia l'arrivo a Foncebadon, che ha l'aria di un paese vivo solo grazie al Cammino. L'aria pizzica e l'odore di mucca distende i polmoni.
Man mano che salgo, sale anche la tensione, i talloni non guariscono e li sento pungere ad ogni passo, ma so che fra qualche chilometro arriverò al punto più alto del Cammino: la Cruz de Hierro.
Mi avvicino e sento crescere la tensione, eccola, la vedo in lontananza.
Un lungo palo di legno con in cima una piccola croce di ferro e ai piedi un cumulo di pietre. Sono pietre che i pellegrini portano. Chi dal proprio paese, chi raccogliendole dal proprio cammino. Rappresentano i ricordi, i fardelli di cui i pellegrini vogliono liberarsi, i pesi, i dolori e le sofferenze di una vita. È un gesto di liberazione che replicato migliaia e migliaia di volte, ha creato questa montagnola.
Anch'io lascio la mia pietra ed altre cose...
I minuti successivi sono tristi, mille sensazioni si sprigionano nella mia testa e nel mio cuore. Penso anche alle vittime del deragliamento e sento stringere la pancia.
Da qui inizia una lunghissima ed interminabile discesa "impestata", da 1445m slm, scendo fino a 580. Le ginocchia stridono, i piedi scoppiano nelle scarpe, i talloni? Beh, sono sempre lì che reclamano.
Lascio questo posto magico e arrivo a Manjarin, altro posto mitico del Cammino.
Tra i ruderi di vecchie abitazioni abbandonate, resiste ancora un refuge particolare gestito da un personaggio caratteristico: Tomás Martinez El ospitalero Templarios.
Il dolore è sempre più acuto e il sole non aiuta. Davanti a me ho una spettacolo bellissimo e cerco di assorbire tutto, dai colori alle immagini agli odori.
Mai viste tante farfalle!
Il percorso mi è sembrato tanto bello quanto doloroso, sarei voluta essere già arrivata, ma mancano 8 lunghissimi chilometri, i più lunghi.
Fino a quando non vedo in lontananza dei tetti in ardesia, è El Acerbo, uno splendido paesino in cui pranzo.
Ne approfitto per togliermi le scarpe e far respirare i piedi.
Rimettersi a camminare dopo una sosta è quasi una punizione, le gambe si sono freddate e non è più così piacevole. Secolari castagni facilitano le sieste.
Sto impazzendo, se non mi fermo, tagliatemi i piedi, non ne posso più... Fino a quando in lontananza...la tanto attesa Molinaseca!
Località turisticamente molto frequentata. Molto bello il ponte medievale sul fiume Meruelo.