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giovedì 25 luglio 2013

22' tappa: El Ganso/Molinaseca (34 km)



Oggi è San Giacomo. 
Oggi si sarebbe festeggiato Santiago se non ci fosse stata la tragedia del treno. 
Mi sono addormentata triste e il risveglio è stato altrettanto triste vedendo le immagini alla tv. 
I sorrisi tra i pellegrini non sono così allegri oggi, sono di circostanza. La gente del posto è altrettanto affranta. 
Ma il sole sorge lo stesso su El Ganso. Felice di lasciare questo posto che non mi ha per niente entusiasmato, mi accingo a salire di quota. Da 1020m. passerò a 1500 e dopo essermi accorta di aver lasciato il pile al Parador, non è così esaltante la notizia. 

Il percorso è scosceso ed abbastanza pendente, ma io preferisco le salite! 
Dopo aver fatto un'abbondante colazione a Rabanal, già citato come località di tappa dal Codex Calistinus, era un avamposto dei Templari di Ponferrada che proteggevano i pellegrini sul Cammino. La leggenda narra che di qui passò anche Carlo Magno. 
Questa croce annuncia l'arrivo a Foncebadon, che ha l'aria di un paese vivo solo grazie al Cammino. L'aria pizzica e l'odore di mucca distende i polmoni.  


Man mano che salgo, sale anche la tensione, i talloni non guariscono e li sento pungere ad ogni passo, ma so che fra qualche chilometro arriverò al punto più alto del Cammino: la Cruz de Hierro. 
Mi avvicino e sento crescere la tensione, eccola, la vedo in lontananza. 

Un lungo palo di legno con in cima una piccola croce di ferro e ai piedi un cumulo di pietre. Sono pietre che i pellegrini portano. Chi dal proprio paese, chi raccogliendole dal proprio cammino. Rappresentano i ricordi, i fardelli di cui i pellegrini vogliono liberarsi, i pesi, i dolori e le sofferenze di una vita. È un gesto di liberazione che replicato migliaia e migliaia di volte, ha creato questa montagnola. 
Anch'io lascio la mia pietra ed altre cose... 
È il momento più intenso del Cammino per me e mi libero...non solo della pietra. 
I minuti successivi sono tristi, mille sensazioni si sprigionano nella mia testa e nel mio cuore. Penso anche alle vittime del deragliamento e sento stringere la pancia. 
Da qui inizia una lunghissima ed interminabile discesa "impestata", da 1445m slm, scendo fino a 580. Le ginocchia stridono, i piedi scoppiano nelle scarpe, i talloni? Beh, sono sempre lì che reclamano. 
Lascio questo posto magico e arrivo a Manjarin, altro posto mitico del Cammino. 

Tra i ruderi di vecchie abitazioni abbandonate, resiste ancora un refuge particolare gestito da un personaggio caratteristico: Tomás Martinez El ospitalero Templarios. 

Il dolore è sempre più acuto e il sole non aiuta. Davanti a me ho una spettacolo bellissimo e cerco di assorbire tutto, dai colori alle immagini  agli odori. 
Mai viste tante farfalle! 
Il percorso mi è sembrato tanto bello quanto doloroso, sarei voluta essere già arrivata, ma mancano 8 lunghissimi chilometri, i più lunghi. 
Fino a quando non vedo in lontananza dei tetti in ardesia, è El Acerbo, uno splendido paesino in cui pranzo. 
Ne approfitto per togliermi le scarpe e far respirare i piedi. 



Rimettersi a camminare dopo una sosta è quasi una punizione, le gambe si sono freddate e non è più così piacevole. 
Secolari castagni facilitano le sieste. 
Sto impazzendo, se non mi fermo, tagliatemi i piedi, non ne posso più... Fino a quando in lontananza...la tanto attesa Molinaseca! 

Località turisticamente molto frequentata. Molto bello il ponte medievale sul fiume Meruelo. 
...e la sosta è più che meritata! 

La cena sulla riva del fiume non fa che concludere un'altra giornata molto intensa.